sabato 4 febbraio 2012

LIBERTA' DI STAMPA E LIBERTA' DELLA STAMPA

Esiste in Italia la libertà di stampa? Tutti rispondiamo positivamente a questa domanda, non siamo certo la Siria o la Corea del Nord. Del resto se andiamo in edicola abbiamo una ampia libertà di scelta, da Il Giornale al Manifesto, da Libero all'Unità, tutte le idee sono rappresentate.
Ma in Italia, oltre alla libertà di stampa, c'è anche la libertà della stampa? La domanda merita un approfondimento, dato che i due concetti non sono proprio la stessa cosa. Facciamo un esempio.
Nel solito studio televisivo dove si celebra il rito del dibattito politico serale sono seduti quattro giornalisti. Il primo è stipendiato da un quotidiano che è di proprietà del proprietario di una casa automobilistica italiana, anzi ora italoamericana. Il secondo è pagato da un noto quotidiano nella cui proprietà possono entrare solo gli esclusivi membri dei salotti buoni della aristocrazia finanziaria milanese. Il terzo è pagato direttamente da Confindustria, dato che in Italia, unico tra i paesi civili, il principale quotidiano economico è stampato direttamente dagli industriali. Il quarto giornalista è decisamente più avanti degli altri, vive già nell'iperspazio, perchè è pagato dal sito xxxx.info, di proprietà di una fondazione o di un think tank o qualcosa del genere. Ma, nessun proplema, una non impossibile ricerca fa capire che tutto ciò è di proprietà di una banca.
Ora il conduttore della trasmissione pone le domande, per esempio: è giusto che lo Stato spenda annualmente 50 miliardi di euro l'anno per sovvenzionare le grandi imprese? C'è concorrenza fra le banche? Sono giuste le liberalizzazioni? I giornalisti rispondono, dibattono, interloquiscono, litigano. Ma siamo sicuri che le risposte non siano in qualche modo influenzate dalla posizione lavorativa? Credo che nessuno venga licenziato per una risposta sbagliata, però sarebbe opportuno, per lo sviluppo professionale del nostro, essere invitato anche alla trasmissione successiva, scrivere articoli in prima pagina o magari un libro sulle liberalizzazioni.....
Mentre facciamo queste riflessioni, appare in trasmissione, in collegamento con gli Stati Uniti, il professor Luigi Zingales, economista dell'università di Chicago. Egli sottolinea il valore salvifico del mercato, la libera concorrenza nella quale competono le imprese a tutto vantaggio del consumatore e stigmatizza duramente taxisti, farmacisti e notai che si ostinano colpevolmente a non voler appartenere al mondo libero.
Egli non è un giornalista, ma un "tecnico" e per giunta è pagato da una illustre Università americana e dice sostanzialmente le stesse cose dei giornalisti; ciò dimostra che le bizantine distinzioni fra libertà di stampa e libertà della stampa sono elucubrazioni senza significato concreto.
Ma l'illusione dura poco.
L’ultimo numero de The Economist segnala un articolo presentato all’ultima assemblea dell’Associazione degli economisti americani, dal Professor Luigi Zingales.
Viene sinteticamente riferito che “Economics has internalised the views of rich patrons, according to Luigi Zingales of the University of Chicago. His scathing analysis of journal publications revealed that papers providing justification for high executive pay were 55% more likely to be published than those opposed, and were more heavily cited by others.”.
Tradotto approssimativamente, si scrive che gli studiosi di economia si sforzano di fornire giustificazioni teoriche per gli stipendi da nababbi degli amministratori delle società che sostengono le fonti di informazione. Se scrivi a loro favore, Ti pubblicano con una maggiore probabilità; e vieni citato di più, che per il mestiere di economista è un fortissimo vantaggio.
Questi semplici meccanismi concorrono a spiegare perché l’onda mediatica si muove in certe direzioni.
Peccato, professore, c'eravamo quasi illusi.

martedì 24 gennaio 2012

COME LA GRECIA

Ho trovato in libreria un libro molto interessante, dal titolo "Come la Grecia". Non è un paragone tra la situazione italiana e quella greca, ma semplicemente una cronaca delle vicende che hanno portato lo stato ellenico al fallimento.
Ma il titolo è assolutamente indovinato: ci si accorge di una assoluta identità di avvenimenti e strategie tra le nostre vicende e le loro; l'unica differenza è che noi siamo circa un anno e mezzo indietro nella corsa verso la bancarotta.
Diceva Papandreu, ex premier ellenico: la speculazione ci vuole far fallire, qualsiasi provvedimento prendiamo non basta al Fondo Monetario Internazionale che ci chiede subito ulteriori modifiche e sacrifici; la via migliore e quella di dare la parola ai cittadini che approvino o respingano con un referendum le ulteriori riforme imposteci.
Parole sacrosante, ma senza speranza in un mondo in cui i cittadini non esistono più, trasformatisi inesorabilmente in consumatori e debitori. Infatti Papandreu è stato immediatamente richiamato a Bruxelles ed è stato sostituito da Papademos, ex uomo Goldman Sachs, ex BCE, insomma il loro Mario Monti.
Qualche dubbio deve cominciare a venire anche da noi: fatta la manovra sulle liberalizzazioni, il giorno dopo il Corriere della Sera pubblicava in prima pagina un articolo che lanciava un nuovo allarme: per far fronte ai debiti della Pubblica Amministrazione per le attività ordinarie, come tali non contabilizzati nel debito pubblico, occorre una massiccia vendita di immobili ed aziende pubbliche.
Venduti i quali occorrerà subito vendere altre cose ed altre ancora, fino al fallimento finale. Come la Grecia

lunedì 23 gennaio 2012

CETTO LAQUALUNQUE

Oggi ho visto in TV un interessante film con l'attore-regista comico Antonio Albanese, dal titolo "Qualunquemente".
 La trama è più o meno questa. I soliti poteri forti designano come sindaco di un paese della Calabria Cetto Laqualunque, stravagante e zotico personaggio dal passato discutibile, dai modo rozzi, che gestisce uno stabilimento balneare abusivo e conduce una bizzarra campagna elettorale, coronata alla fine da successo.
Il film vuole essere la caricatura di certi politici e di un certo modo di far politica, ma soffre di un grave handicap: è stato scritto quattro anni fa, quando certe situazioni erano ancora paradossali. Poi, però, la realtà ha superato la fantasia e la trama del film si è trasformata da paradosso a semplice cronaca dell'esistente.
Mi hanno colpito, in particolare, gli stravaganti comizi elettorali di Cetto, nei quali erano raccontate un sacco di fandonie e si concludevano inevitabilmente con la promessa che più scaldava il cuore degli elettori: più pilu per tutti!.
In una pausa del film ho colto, tra un canale e l'altro, l'affermazione di un noto professore bocconiano prestato alla politica. Egli sosteneva che la liberalizzazione degli ordini professionali avrebbe aumentati il PIL dell'11 per cento ed incremetato i salari del 18 per cento.
Mi sono chiesto come sia possibile una cosa del genere: i professionisti producono già l'11 per cento del PIL, forse non sono contabilizzati e con le liberalizzazioni sarebbe contabilizzati come imprese. Oppure sarebbero tutti assunti delle grandi imprese con uno stipendio un poco più alto del minimo e la media dei salari aumenterebbe.
Mah.....credo che l'interpretazione sia più semplice: il lupo perde il pelo ma non il vizio, inevitabilmente, inesorabilmente.......qualunquemente.

BASTA UN EURO, COMPARE

Le mafie, la criminalità finanziaria, le imprese in cerca di evadere le tasse utilizzano per i loro poco commendevoli scopi lo strumento delle società di capitali con sede all'estero, creando una serie di inestricabili intrecci societari, matrioske nelle quali società con sede a Londra possiedono la maggioranza di società con sede nel Delaware, che possiedono società delle isole Cayman, che possiedono......
Inutile dire che questi paesi, per vincere una tale criminosa concorrenza internazionale, consentono la costituzione di società con requisiti ridicoli, senza controlli (sappiamo bene perchè), senza garanzie, senza nulla, via Fax o email.
Il giochetto funziona bene con un solo piccolo difetto: come spiegare alla magistratura ed alla guardia di finanza il motivo per cui cittadini italiani che vivono in Italia, che lavorano nel nostro paese abbiano bisogno di utilizzare, per la propria attività, società poste dall'altra parte del mondo.
Ma...nessun problema: ci hanno pensato i neoliberalizzatori dell'era Monti. Da oggi una bella società, praticamente senza capitale (un euro) - capitale che giuridicamente sarebbe la garanzia per fisco e creditori - senza controlli dello Stato si può costituire anche in Italia, non è necessario andare alle Cayman.
Un po' di pudore ha imposto di mascherare l'operazione come un vantaggio per i giovani, imponendo che i soci della società "fantasma" debbano avere meno di 35 anni. Ma...si sa: alcuni gli anni li portano molto bene, nessuno controlla; tutti avranno nipoti e nipotini da far "lavorare".
Ed il giovane vero, costituita la vera società che dovrebbe cambiargli la vita, pagata la parcella del commercialista, si ritrova nel mitico garage alla Bill Gates, senza essere Bill Gates, alla ricerca di un lavoro ed di un minimo di serietà.

domenica 22 gennaio 2012

IL DIKAIOS LOGOS

Il commediografo greco Aristofane scrisse, nel 423 a.C., la commedia "Le nuvole", nella quale narra le vicende di Fidippide, giovane ateniese rovinato dalle scommesse sui cavalli (all'epoca le banche non c'erano ed erano le scommesse la maggior fonte di guai finanziari).
Egli deve trovare il modo di non pagare i propri debiti e suo padre Strepsiade lo convince a recarsi nel pensatoio dei saggi spiriti, dove Socrate, con l'allievo Cherefonte, gli insegneranno: "tutti e due i discorsi, quello più forte, comunque sia, ed il più debole. Di questi due discorsi il più debole, dicono, a furia di chiacchiere vince anche le cause perse. Se tu mi impari questo discorso, quello ingiusto - spiega Strepsiade - tutti i debiti che oggi ho per causa tua, non torno un centesimo a nessuno".
Nella commedia l'autore vuole essere fortemente critico nei confronti dei sofisti, filosofi del tempo che utilizzavano il meccanismo della contrapposizione dialettica tra il discorso giusto - il dikaios logos, appunto - che rappresenta e sostiene i valori tradizionali della società ateniese ed il discorso ingiusto - in greco l'adikos logos - che si impone non per la sua aderenza alla verità, ma solo in forza della propria coerenza interna e della propria astratta capacità persuasiva.
Fidippide impara il discorso ingiusto, lo fa prevalere su quello giusto (l'obbligo di pagare i debiti), ne esce vincitore e non paga.
Immaginiamo una tecnica del genere, duemilacinquecento anni dopo, in mano a gente che ha a disposizione i moderni mezzi di comunicazione e di persuasione di massa; possiamo facilmente immaginare come il discorso ingiusto si imponga con una forza insuperabile, tutto travolgendo, senza ostascoli.
Dice il moderno Cherefonte dei giorni nostri: "La liberalizzazione dei taxi farà guadagnare al consumatore 200 milioni di euro".
Sono ricco, è fatta, mi compro una villa come Berlusconi, una Ferrari come Montezemolo, una moglie giovane come Passera, direbbe il prototipo del consumatore - un poco frastornato - dell'epoca moderna. Poi si accorge che la cifra è da dividere per 60 milioni, rimangono tre euro e comunque l'ultimo taxi lo ha preso due anni fa.
Ma l'adikos logos si impone, inesorabile, irrefrenabile, munito di una invincibile forza propria che tutto travolge.
La cricca dell'adikos logos è particolarmente attiva in questo periodo ed attacca direttamente gli Stati per farli fallire.
Cosa penserebbe Aristofane se sapesse che la Grecia (moderna) per cercare di evitare il fallimento noleggia a 1.600 euro al giorno il Partenone e l'adiacente teatro di Dioniso, dove lui rappresentavale le proprie commedie?
Mah! Consoliamoci con le parole che Aristofane mette in bocca a Socrate:"Queste sono le Nuvole del Cielo, grandiose dee per tutti i perdigiorno. Esse pensieri, discorsi, concetti ci forniscono, l'arte di imbrogliare con lunga chiacchiera, sorprendere, incantare. E non sapevi, perdio, che danno da mangiare ad una folla di saccenti: indovini di Turi, guaritori, sfaccendati con zazzera, unghie ed anelli, tornitori di canti in girotondo, astronomici imbroglioni. Nutrono dei fannulloni sfaticati, che poi le cantano in musica."

giovedì 5 gennaio 2012

IL CINEPANETTONE DI RUTELLI

Ogni anno, a dicembre, esce nelle sale cinematografiche un film, con De Sica ed altri comici, che viene normalmente definito "il film di Natale" o "il cinepanettone".
Sono film normalmente ambientati nelle più rinomate località del turismo mondiale, con titoli tipo Natale a Los Angeles, Natale a Rio, Natale a New York; insomma i bravi comici protagonisti di queste pellicole ci fanno divertire e contemporaneamente ci mostrano le località più belle del pianeta.
Quest'anno, però, non è sfuggito alla produzione che un titolo del tipo "Natale a Miami" sarebbe suonato un po' come una presa per i fondelli per gli italiani alle prese più con il governo Monti che con i propri sogni di vacanze e gli esperti di marketing hanno consigliato di ripiegare su un più nostrano (e simbolicamente più economico) "Natale a Cortina".
Questo ragionamento, piuttosto banale e condivisibile, non deve essere alla portata dei nostri politici.
Riferisce il Corriere della Sera che il leader dell'UDC Casini, il presidente del Sanato Schifani ed leader dell'API Francesco Rutelli hanno trascorso le vacanze natalizie alle Maldive, in un lussuoso Resort dai prezzi non certo popolari.
Dice l'aspirante pensionato che ha appena saputo che dovrà lavorare ancora per quattro anni: "Anche i politici facciano sacrifici prima di imporne agli altri".
Dice Rutelli: "Se qualcuno vuol scriverne in modo diffamatorio, se ne occuperà il mio avvocato.
Mi sembra di percepire tra la gente e la classe politica una frattura, frattura tanto grande da contenere l'intero Oceano Indiano.

GLI ALTRI 35.500

Ero presente al Consiglio Comunale nel quale è stato approvato un ordine del giorno favorevole all'accoglimento delle proposta dell'imputato del processo Eternit. Mi è sembrato il tipico rito dei giorni nostri, con il teatrino della politica da un lato e decine, se non centinaia, di persone dall'altro, fuori dalla porta ad assistere, contestare, gridare.
Io non sono consigliere comunale, nè familiare di una vittima dell'amianto e penso di appartenere alla rimanente parte di 35.500 abitanti a Casale Monferrato che vogliono capire.
Voglio anzitutto capire se i 50 casi di nuovi tumori all'anno sono un dato che rappresenta la media normale, quindi se anche vivessi a Los Angeles o in Nuova Zelanda da questo punto di vista sarebbe la stessa cosa, oppure se vivere a Casale vuol dire rischiare la pelle un poco più degli altri.
Voglio sapere se il turista che frequenta i ristoranti del Monferrato o che si compra la seconda casa dalle nostre parti aumenta la probabilità di crepare, se l'acqua del nostro acquedotto ha a che fare, in qualche modo, con l'amianto, se chi abita da poco a Casale corre gli stessi rischi di chi ci ha abitato da tanto tempo, se il tetto di casa mia, il muro o le fondamenta sono pericolose o no per la mia salute.
Immagino già le risposte.
I dirigenti dell'Eternit diranno che non è vero niente ed è tutta ignoranza, i ristoratori diranno che sono tutte assurdità, i venditori di case nel Monferrato diranno che non c'è problema, gli esperti diranno che non è chiaro (o meglio, sembra che le risposte varino a seconda di chi paga l'esperto), tutti diranno che sono ignorante e disinformato.
Ma esigo che:
- lo Stato mi dica come stanno veramente le cose;
- lo Stato spenda il dovuto per farmi vivere in un luogo sicuro.
Il problema se prendere o meno i soldi del risarcimento non è il problema principale.
Le favolette, le mezze verità, le cose non chiare hanno già provocato troppi morti ed i prossimi saranno tra i 35.500 che quella sera in Comune non c'erano.